L’irriverente pudore di un giullare

Simone Perinelli tratteggia con intelligenza il suo Yorick in Un Amleto dal Sottosuolo

 

di David Della Scala

 

Esiste una linea. C’è chi ne sta aldilà e chi aldiquà e si guarda i piedi nel timore che  quella linea si avvicini troppo alle loro punte: perché da vivi all’improvviso si diventa morti e da sani ci si può ritrovare pazzi. La linea si oltrepassa una sola volta  e in una sola direzione. Indietro non si può tornare. Perché se il pazzo tornasse sano sarebbe come un morto che torna vivo e questo è inaccettabile, inimmaginabile, persino poco rispettoso nei confronti dei vivi… e dei sani.  Alla fine ci si potrebbe ritrovare a pensare che come ci si può stendere a terra , chiudere gli occhi e far finta di essere morti,  si possa anche far finta di essere vivi, o addirittura far finta di essere sani. No, sarebbe troppo: i morti devono stare nelle loro fosse e i matti, i matti devono salpare per mari lontani. Cento anni di psicanalisi ce lo hanno insegnato: la follia deve esser fatta sparire, ecco la cura.

Yorick è matto ed è morto. Oramai esiste solo in due luoghi: nella sua tomba, sottoterra e nel suo cranio. Là dentro dove non esiste più differenza tra passato, futuro, vita e morte, là c’è Yorick.

Eppure il buffone di corte sta davanti ai nostri occhi e ci parla. Parla di Amleto e dei fatti che in superficie coinvolgono il principe, parla dei nomi che gli uomini danno alle cose, alle ore. Racconta storie che conosce bene e altre che invece non dovrebbe conoscere affatto. Nel suo cranio sepolto sotto metri di terra c’è un mondo,  o forse il mondo è quel cranio e anche noi stiamo lì dentro.

Simone Perinelli in questo Yorick un Amleto dal sottosuolo dà voce e un volto a quel personaggio solo accennato nell’Amleto di Shakespeare, ma che con la sua assenza ha occupato pagine e pagine di saggistica sul dramma. Un’operazione veramente rischiosa ma perfettamente riuscita perché non motivata dal semplice desiderio di riempire un vuoto, divertendosi a plasmare un personaggio dai pochi tratti offerti dal testo originale, ma piuttosto di rendere Yorick un catalizzatore di nuovi ragionamenti che dall’Amleto possono scaturire.

L’estetica di questo Yorick, così legata alle tecniche dell’arte performativa potrebbe indurre a definire la sua narrazione come un insieme di quadri teatrali. Ma questo sarebbe inesatto e riduttivo: Yorick è un discorso col pubblico solo apparentemente frammentato. Un buffone infatti seppur pazzo, sepper morto, rimane comunque un buffone e il suo modo di raccontare non può che essere affidato al sovrapporre storie, filastrocche, giochi di parole ma con un preciso ordine, costruendo in un crescendo di simboli e gesti. Lo dimostrerà il bellissimo finale dove attore e elementi scenici tracceranno una precisa firma nelle menti degli spettatori, sigillando il confezionamento di questo spettacolo con un momento di altissima poesia e ironia.

La capacità performativa di Simone Perinelli, le fragranti sonorizzazioni e le bellissime musiche di Massimiliano Setti, sulle quali Yorick declama, salmodia, nonché le efficaci scene che rendono il teschio dove Yorick abita una macchina sorprendente , si fanno insieme strumento dell’innegabile potenza lirica di questo spettacolo. Del suo irriverente pudore nel maneggiare l’oggetto Shakespeariano.